Idee violente


“Il vero problema per ciò che concerne la ricerca sui significati ultimi della vita non è quello di una particolare intelligenza che occorra o di uno speciale sforzo o di eccezionali mezzi necessari per raggiungerla. La verità ultima è come trovare una bella cosa sul proprio cammino: la si vede e si riconosce, se si è attenti. Il problema dunque è tale attenzione”; così Luigi Giussani ne “Il Senso Religioso”. E’ una frase che nella sua semplicità rischia di passare inosservata, eppure a ben guardare mostra due implicazioni molto forti. La prima: l’uomo punta alla verità, vuole sapere come stanno le cose, soprattutto a livello ultimo, nonostante tutta la debolezza, la fragilità, la miopia del suo pensiero. La seconda: per quanto paradossale possa sembrare, non è costruendo ragionamenti più o meno sofisticati, analitici o sintetici, che si arriva alla verità. Bisogna fare attenzione. Perché? A che cosa?

Al tema dell’attenzione ha dedicato pagine – a mio avviso- preziose Simone Weil. Questa osservazione presente nei suoi Cahiers forse ci dà qualche suggerimento per tentare una risposta: “Metodo [l’attenzione] per comprendere le immagini, i simboli, ecc. Non cercare di interpretarli, ma fissarli fino a far scaturire la luce. In generale: metodo per esercitare l’intelligenza consistente nel fissare […]. Applicazione di questo metodo per distinguere il reale dall’illusorio […]. La condizione è che l’attenzione sia uno sguardo e non un attaccamento. L’attaccamento fabbrica illusioni e chiunque voglia il reale deve essere distaccato […]. MI si richiede solo l’attenzione, quell’attenzione tale da far sparire l’io. Privare tutto ciò che chiamo io della luce dell’attenzione e trasferirla sull’inconcepibile”. Alcune espressioni possono senz’altro apparire esagerate, tuttavia il senso è chiaro: non è attraverso le mie idee che vedo la realtà, ma distaccandomene, rinunciandovi, perdendole, per usare un’espressione altrettanto incisiva.

Queste considerazioni, a dire il vero, mi sono venute in mente di fronte al post pubblicato dalla professoressa Donatella Di Cesare in occasione della morte di Barbara Balzerani: “La tua rivoluzione è stata anche la mia. Le vie diverse non cancellano le idee. Con malinconia un addio alla compagna Luna”. Il post, quasi subito rimosso dall’interessata -ma, si sa, sui social qualsiasi cosa viaggia a velocità della luce- ha sollevato un’ondata di indignazione, che, tralasciando gli eccessi di varia estrazione politica, possiamo vedere sintetizzata nella nota pubblicata dal rettore, dove prende le distanze da simili affermazioni e ricorda l’alto tributo di sangue pagato dall’Università. La professoressa Di Cesare, infatti, è docente di filosofia teoretica alla Sapienza di Roma e, credo, una delle maggiori esperte del pensiero di Heidegger: la cattedra di filosofia più prestigiosa in uno degli atenei più prestigiosi!

L’anno successivo alla sua cattura (1985), Balzerani rivendicò l’omicidio dell’ex sindaco di Firenze Lando Conti, solo due anni dopo, comparve in un’intervista con Curcio e Moretti, per dichiarare conclusa l’esperienza delle BR, essendo venute meno le condizioni sociali che portarono al conflitto armato; non avrebbe mai dato segni di pentimento, almeno secondo la stampa.

Quindi nel merito: quale rivoluzione? Quali idee? Si possono separare le idee, o i valori vitali (giustizia, libertà, pace, per fermarci qui) dai tentativi e dai metodi di realizzazione, come se questi e quelle fossero due mondi a sé stanti? Quando capita così, non si guarda alla giustizia esclusivamente attraverso la fessura della propria idea, che diviene così, ad un tempo, muro invalicabile e altare sacrificale?

La risposta di Gesù alla domanda dello scriba su quale fosse il primo di tutti i comandamenti viene prima di indicare l’amore di Dio: “Ascolta Israele!”, cioè fa attenzione! E alla reazione entusiasta dello scriba che ne elogiò la risposta, disse “Non sei lontano dal regno di Dio”, cioè dalla verità. Sui Vangeli, si potrebbe costruire anche un seminario di filosofia teoretica.

GLB


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