La Pietà


Non so se Michelangelo, mentre scolpiva la sua Pietà, avesse in mente qualche fatto particolare (sono ignorante in questo purtroppo, né ho tempo e voglia di indagare a dire il vero!). Forse pensava alla sua morte, al suo destino, al momento in cui avrebbe varcato la soglia ultima e la scultura invoca qualcuno che regga il peso di tutto il nostro essere, improvvisamente collassato. O forse pensava a qualche evento sinistro e sanguinoso occorso ai suoi contemporanei, davanti al quale, commosso, elevava un grido di dolore, di pietà appunto.

La fotografia scattata Mohammed Salem sulla striscia di Gaza ha fatto il giro del mondo. Raffigura una donna ripiegata sul cadavere della nipote giovanissima, avvolta interamente in un sudario, uccisa da un raid israeliano a Khan Younis. Si fondono, la donna e la bambina, in un unico corpo, quasi cullandosi a vicenda, se non fosse che uno dei due è completamente inerte. Non si vedono i volti, a dire dell’anonimato che normalmente segna la vita e la fine dei più poveri. La foto, che ha vinto il “World Press Photo 2024”, è stata rinominata “La pietà di Gaza”.

Possiamo paragonarla ad un’altra opera artistica ed è la Madonna Sistina di Raffaello, anch’essa rinominata la “Madonna di Treblinka”, dopo il racconto di Vassilji Grosmann, che la vide prima del ritorno dell’opera a Dresda, nel 1955: ne fu così impressionato da scrivere parole di indicibile intensità e profezia: “La forza miracolosa e serena di questo quadro sta anche nel fatto che ci parla della gioia di essere una creatura vivente su questa terra. Il mondo intero, tutta l’immensità dell’universo, non è altro che materia inanimata, rassegnata nella sua schiavitù: solo la vita è il miracolo della libertà. Questo quadro ci dice quanto la vita sia preziosa e magnifica, e che non c’è forza al mondo capace di costringerla a trasformarsi in qualcosa che, pur somigliandole esteriormente, non sia più la vita. La forza della vita, la forza di ciò che vi è di umano nell’uomo è una forza immensa, e la violenza più estrema e più assoluta non può soggiogare questa forza, perché può solamente ucciderla. È per questo che il volto della madre e del figlio sono tanto sereni: sono invincibili. In questi tempi di ferro, la morte della vita non coincide con la sua sconfitta”.

Esagerazione? Consolazione religiosa? No, se si pensa che lo scrittore ha visto l’inferno di Treblinka e, nel volto della Madonna e del bambino, così atei e terrestri per usare le sue stesse parole, una luce di speranza: “Lei [la Madonna] ha vissuto la nostra vita, con noi. E giudicateci dunque, noi, tutti gli uomini, con la Madonna e suo figlio. Noi fra poco ce ne andremo i nostri capelli essendo già bianchi. Ma lei, questa giovane madre, lei andrà incontro al suo destino portando suo figlio fra le braccia e con un’altra generazione di uomini vedrà una luce potente e accecante: la prima esplosione di una bomba superpotente all’idrogeno, con cui si annuncia l’inizio di una nuova guerra, totale. Cosa possiamo dire noi, gli uomini dell’epoca del fascismo, davanti al tribunale del passato e del futuro? Non abbiamo alcuna giustificazione. E diremo: non c’è mai stato un tempo duro come il nostro, eppure non abbiamo lasciato che morisse ciò che di umano c’è nell’uomo. Guardando partire la Madonna Sistina, noi conserviamo la fede che la vita e la libertà sono una cosa sola, e che non c’è niente al di sopra di ciò che di umano c’è nell’uomo. Ed è questo che vivrà in eterno, e vincerà”.

GLB


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