QUALCOSA CHE NON FINISCE MAI


La Quaresima è un tempo forte, cioè un tempo dove Dio fa qualcosa di straordinario e a chi se ne accorge succede qualcosa di altrettanto straordinario: è un tempo di “conversione” se vogliamo usare una parola religiosa. C’è una premessa: fermarsi e riflettere su di sé, sentire le proprie radici profonde, con l’abisso di miseria e di speranza che le segna: fallimenti, delusioni, dolori, ma anche successi, fiducia, gioia… Chi può dire di non avere l’esigenza di raccogliere tutto questo in uno sguardo d’insieme?

Se da parecchi decenni il tempo civile si è separato dal tempo liturgico, oggi non vi è pressoché più nulla di liturgico, o di religioso, nel tempo. Eppure non si riesce a bandire del tutto Dio dalla nostra vita: si ha l’impressione che, cacciato dalla porta, rientri improvvisamente dalla finestra; si comporta -per rubare il titolo di un libro di un acutissimo filosofo scomparso qualche anno fa- di trovarsi di fronte ad una diceria immortale: “Che esista un essere che nella nostra lingua si chiama “Dio” è una vecchia diceria che non si riesce a mettere a tacere. Questo essere non fa parte di ciò che esiste nel mondo. Dovrebbe essere piuttosto la causa e l’origine dell’universo. Fa parte della diceria, però, che nel mondo stesso ci siano tracce di quest’origine e riferimenti ad essa. E questa è la sola ragione per cui su Dio si possono fare affermazioni diverse” (R. SPAEMANN, “La diceria immortale”).

Mi soffermo su due tracce, che, negli ultimi giorni, sono state -almeno per me- come due incursioni fulminee di Dio nelle nostre settimane. Una ha commosso milioni di spettatori ed è il dialogo (erroneamente, a mio avviso, è stato scritto “monologo”) del maestro Allevi sul palcoscenico di Sanremo: “All’improvviso mi è crollato tutto [con la malattia]. Ma era come se la malattia mi porgesse, assieme al dolore, degli inaspettati doni”, fino ad arrivare all’essenziale: “Il cielo stellato può continuare a volteggiare nelle sue orbite perfette, io posso essere immerso in una condizione di continuo mutamento, eppure sento che in me c’è qualcosa che permane! Ed è ragionevole pensare che permarrà in eterno. Io sono quel che sono”. E’ interessante notare come Dio faccia qui il suo ingresso senza farsi nemmeno nominare, quasi avesse timore di sopraffarci troppo rubando la nostra scena, artistica, come nel caso del Festival, o quotidiana, come nel caso delle nostre abitudini. Ma si capiva perfettamente che “Io sono quel che sono” significa fare i conti con quella speranza immortale che ognuno trova dentro di sé. Possiamo anche non chiamarla “Dio” se non ci piace, ma l’idea resta.

Una seconda traccia ho notato nell’intervista, apparsa sull’inserto “La Lettura” del 25 febbraio del “Corriere della Sera”, a Michel-Yves Bolloré e Olivier Bonnassies, autori del libro “Dio. La scienza, le prove. L’alba di una rivoluzione”, di recente pubblicazione, che documenta l’esistenza di una causa intelligente all’origine, una sorta di scoperta scientifica, appunto, a partire dalla termodinamica e dalla regolazione dell’universo, che si regge sulla precisione assoluta di almeno una trentina di costanti; troppo per parlare di semplici coincidenze. Sul punto, uno degli autori fa un lucido paragone: “Se Lei organizza una lotteria su scala mondiale e poi va a intervistare il vincitore, quello vi dirà che ha avuto molta fortuna. Se il giorno dopo Lei organizza un’altra lotteria ed è la stessa persona a vincere, dirà che ha davvero molta fortuna. Alla terza lotteria vinta dalla stessa persona, arriva la polizia a dire che non è possibile, non si può avere sempre fortuna. E’ come se noi avessimo sempre un’incredibile fortuna, tutti i giorni. E’ statisticamente impossibile”.

Potranno sembrare due tracce labili, la seconda forse un po’intellettualistica, ma, nella situazione di oggi, gli argomenti per pensare a Dio possono essere soltanto argomenti ad hominen, come osserva Spaemann: “Non partono da premesse indiscutibili per giungere a conclusioni altrettanto indiscutibili. Sono olistici. Mostrano la mutua interdipendenza della convinzione dell’esistenza di Dio e della capacità di verità, cioè l’essere persona dell’uomo e cercano, al contempo, la conferma per entrambe”. “Dio” e “Io” formano una coppia inseparabile. Scoprirlo sarebbe un bel cammino quaresimale, che non finirebbe mai.

GLB


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