BRAVO! SETTE PIU’


Le scuole hanno reso note da poco le valutazioni conclusive del primo periodo. Non si tratta di un evento banale: ad esso, infatti, è affidata la comunicazione formale che la scuola deve garantire intorno all’andamento scolastico degli allievi.

Poi, però, c’è sempre dell’“altro” che entra in gioco, qualcosa che incide sulle relazioni tra i ragazzi, su quelle tra genitori e figli, su quelle tra insegnanti e allievi.

La comunicazione dei risultati, cioè, non si esaurisce in una “trasmissione di misure” (quelle relative alle conoscenze e competenze acquisite nelle diverse discipline dagli allievi). Il voto diventa misura di “altro”. Assumendo significati che vanno ben oltre la sua asettica indicazione quantitativa, esso diviene punto di appoggio per osservazioni, deduzioni, considerazioni, giudizi, interrogativi e si pone, di per sé, come elemento scatenante di sensazioni, emozioni, sentimenti.

Più o meno consapevolmente, per esempio, il pensiero di un ragazzo di fronte ai propri voti può andare a finire da queste parti: “Che schifo! E adesso, che cosa racconterò ai miei? … So benissimo che avrei potuto fare meglio, ma la scuola non mi piace. Che ci posso fare?”; oppure: “Ce l’ho fatta anche stavolta: minimo sforzo, massimo risultato! Posso continuare a farmi gli affari miei senza spendermi troppo per la scuola. Speriamo solo che non si esiga di più, da me”; o anche: “Chissà se questi voti soddisfano le aspettative dei miei insegnanti e dei miei genitori … E’ comodo, in fin dei conti, sentirmi addosso la riconoscenza e la soddisfazione degli altri; mi gratifica. Ma le mie aspettative, questi voti le soddisfano? E quali sono, le mie aspettative?”; o invece: “Certo che il mio compagno è meno attento di me, studia poco, a volte non fa i compiti, spesso disturba le lezioni, eppure ha voti migliori dei miei. C’è qualcosa che non va! Così non è giusto. Ma vale proprio la pena continuare a impegnarsi?”.

I genitori, dal canto loro, potranno trovare nei voti dei figli motivi di orgoglio e vanto o, al contrario, motivi di vergogna e frustrazione; non è la stessa cosa se chi ti incontra sa che sei genitore di un bravo studente o se sa che, all’opposto, tuo figlio a scuola non riesce a combinare niente. Va da sé che è molto più facile accettare e gratificare un figlio che fa avvertire come positiva la propria stessa immagine di genitore, piuttosto che un figlio che quell’immagine la mette in crisi!

Per gli insegnanti, poi, il momento della valutazione è un affare serio! Che cosa hanno davvero valutato col proprio voto? L’oggettiva quantità e qualità delle conoscenze apprese dall’allievo? O piuttosto il percorso di crescita complessivo che questi ha compiuto nel periodo? O hanno invece valutato il successo o l’insuccesso dell’azione educativa e didattica che essi stessi, insegnanti, hanno condotto?

Quel numero, insomma, per quanto sia indubitabilmente precisa la quantità che indica, dice gran poco sulla sostanza a cui quella quantità si riferisce. Anzi, sembra fatto apposta per occultare, dietro la secca eloquenza del numero, la complessa varietà delle incertezze di cui la vita, nelle relazioni dentro e fuori la scuola, resta comunque intrisa.

     L’importante è non fingere che non sia così …

     Rigoletto


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