Ripristinare collegialmente il presidio del limite. Un appello alla scuola


Verosimilmente con rare eccezioni l’esercito degli insegnanti italiani in questa giornata del primo settembre ha svolto il rito del primo collegio docenti. L’occasione è invero tradizionalmente propizia per mettere a fuoco molte cosucce, più o meno rilevanti, tra le quali la tintarella del collega o della collega, la ricrescita troppo trascurata di qualcuna, piuttosto che le rughe o certa manutenzione chirurgica che lascia perplessi, l’eccentricità degli outfit, e altre apparenti amenità.

Qui, benché fortemente tentati da un prolungamento sine die della levità tardo estiva, ci preme tuttavia entrare in questioni scolastiche non da poco che investono persino la natura e il senso dell’istituzione scuola.

Non sono certo mancati lungo tutta l’estate i richiami, provenienti dalla cronaca di episodi malauguratamente sempre più frequenti, in cui la capacità di barbarie umana ha preso il sopravvento. Violenza, sopraffazione, dolore e tragedia.

Ed è effettivo e reale lo sgomento iniziale che invade i più, almeno fino a quando una nuova interferenza vi si sovrappone. Eppure, il contraccolpo per la gravità disumana dei fatti non cessa di essere registrata da tutti noi come antitetica a ciò che desideriamo. La facilità estrema con cui scivoliamo nella dimenticanza e nella distrazione non disabilita però l’operatività del nostro cuore umano nel suo inesausto lavoro di riconoscimento del vero, del bello, del buono.

Ma se quest’attitudine a scappare via, aspirati da un immaginario totalizzante, reso esponenzialmente più avvolgente dalla digitalizzazione delle nostre vite, finisce per rendere inincisivo proprio quell’ineffabile principio di umanità che ci costituisce come persone, qualcosa d’altro si impadronisce della scena del mondo, qualcosa di più pulsionale, istintuale, arcaico. Se in luogo del cuore il protagonista assoluto della scena del mondo tende ad essere l’acefalo movimento di una volontà di godimento, effimera e ripetitiva, disincantata e cinica, impersonale e sorda, non possiamo che assistere a un’ipertrofia disordinata ed entropica di comportamenti dettati dal mero rumore emozionale. A una Babele emotiva e sentimentale può solo corrispondere l’affermazione del potere di chi sa essere più violento.

Cosa c’entra tutto ciò con i Collegi docenti del primo settembre? C’entra per via di un appello alla scuola. Alle persone che nella scuola hanno de facto una responsabilità educativa per quanto tentativamente la si voglia appiattire su una mera funzione dispensativa di saperi e competenze.

L’appello alla scuola è di voler recuperare terreno sul piano del presidio dell’azione benefica del limite. Chi oggi è in età di formazione fa molta più esperienza dello sgretolamento del limite, delle possibilità presunte infinite, piuttosto che della drammaticità dell’impossibile: tutto l’orientamento della cultura (almeno occidentale, ma a ben vedere non solo) è catalizzato dal dogma di una libertà concepita come illimitata.

Come per un fiume la vita dell’acqua non potrebbe scorrere senza gli argini, così nell’uomo la frustrazione per l’impossibile evolve sempre in violenza inaudita quando non è abbracciata la generatività del limite (e il riconoscimento dell’altro).

Tutto ciò sembra dover rimettere radici particolarmente nello spazio del coraggio della scuola e di chi la fa. Ne va della possibilità dei rapporti umani, altrimenti destinati appunto a sopperire nell’affermazione scomposta e forzosa dell’uno sull’altro, come avviene anche in tutte le relazioni affettive, più o meno mascheratamente o subdolamente.

Oggi v’è necessità di una fatica aggiuntiva, perché la marmellata nichilista è stata ferocemente pervasiva in questi anni, e soprattutto intollerante con chi non si è allineato all’imperativo del godimento illimitato propagandato dal relativismo del mainstream. Come sempre, è più difficile arretrare da un cedimento che è stato deflagrante che mantenere il governo della prudenza. E però non si tratta di agitare il fantasma di una restaurazione, ma di difendere personalmente e istituzionalmente la possibilità stessa della convivenza e la sopravvivenza della civiltà. Spezzare il circuito infernale che dal narcisismo porta all’abolizione dell’inevitabilità della fatica è la missione più urgente della scuola. Deve accadere però un’incarnazione autenticamente collegiale del limite come risorsa, perché possa dare testimonianza empirica che lo spazio ceduto all’altro è un valore.

Come i padri costituenti seppero convergere su una Carta autorevole in forza del riconoscimento che nessuno disponeva della verità tutta intera, così oggi la Scuola è chiamata a una costituente attorno al presidio del limite come esperienza soggettiva di quella mancanza insaturabile che si apre ai saperi ma anche all’altro come compagno di viaggio e non come stampella dell’affermazione personale.

The Squirrel


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