“Still”, se Michael J. Fox ci insegna ad essere presenti


«Perché non hai detto che stai soffrendo?» chiede la voce fuori campo.

Lui, Michael J. Fox, lo sguardo fermo, mentre intanto sente ogni spasmo come “una scossa sismica” – ha detto poco prima al fisioterapista mentre gli fa fare esercizi di movimento.

«Non voglio concentrarmi su questo», risponde ammiccando, con la sua faccia da canaglia per bene alla quale non si può fare a meno di affezionarsi. Una battuta con la quale subito si azzera ogni pietismo e sentimentalismo con cui questa vicenda potrebbe essere vista e raccontata.

“Still: a Michale J. Fox movie” (disponibile su Apple TV+) mette in scena una vicenda tanto semplice quanto drammatica, raccontandoci dalla sua viva voce la battaglia contro il Parkinson che sta combattendo il “ragazzo prodigio” di Hollywood, indimenticabile protagonista di “Ritorno al futuro”. Lui, che sembrava indenne all’invecchiamento, una battuta fulminante e un sorriso sempre pronti, per i primi 7 anni (dal 1991) questa battaglia l’ha combattuta in silenzio. “The fight of his life”, titolavano i rotocalchi appena si è saputo, la “battaglia per la sua vita” Michael J. Fox l’ha tenuta segreta, per la paura che pubblico e produttori non l’accettassero, con il terrore di essere giudicato. Ha trovato, invece, un “amore smisurato”, quando la lasciato passare attraverso di sé la “lama” della verità.

Diretto dall’amico (e premio Oscar) Davis Guggenheim, Fox si racconta in un dialogo diretto, senza lasciare zone d’ombra, compreso il periodo intossicato dalla dipendenza da farmaci e alcool. Alla conversazione s’inframmezzano scene e passaggi dei suoi film e Serie che sembrano fatti apposta per sottolineare la sua vicenda umana; per dire di sé, per farci conoscere chi è guardando dentro al dramma che si porta dentro e che continua a vivere, rispondendo colpo su colpo alla malattia. Con “colpi” che trovano spesso la forma d’una risata, che fa sgorgare ai suoi interlocutori e a sé stesso, con un’auto-ironia quasi impossibile da trovare oggi.

Quella che pensava fosse la fine, personale e professionale, si è rivelata un nuovo inizio. L’inizio dell’età adulta – dice lui, commentando, ad un certo punto, il rapporto col padre, che lo ha sostenuto scommettendo proprio sulla sua libertà.

«Sono sempre stato in movimento – spiega – forse perché sono “piccolo”, minuto». Scappando dai bulli seguendo la regola aurea: «scappa o falli ridere prima che decidano di menarti».

«Non sono mai stato fermo» (“still”, appunto, in inglese), specificando immediatamente dopo: «presente a me stesso». La scoperta del Parkinson segna un cambio di passo che non si traduce semplicemente nella “buona volontà” con la quale affrontare una situazione più grande di lui. È una scelta di umanità, di chi si “ferma” davanti a quello che è, con tutto il bagaglio di limiti e sconfitte.

Il figlio, ormai adulto, che lo prende per mano nella scena finale, dice esattamente dove ci si può trovare quando si sta davanti, messi a nudo, al proprio bisogno.

The Bear


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