PASSPORT – PASSPORT/DOLDINGER (Atlantic – 1971)


Il 1971 è un anno particolare, nascono la Mahavishnu Orchestra e i Weather Report… e sì, an passant, anche il sottoscritto.
Ma è in Germania che nello stesso anno un certo fermento musicale porta al debutto dei Passport, che con questo album mettono le radici al ceppo europeo* della fusion, della Jazz rock-fusion, e, anche fosse solo per questo, a mio modo di vedere l’album merita considerazione.


“Passport/Doldinger”, primo album dei Passport, in realtà doveva essere il primo album solista del sassofonista/tastierista Klaus Doldinger, che lo compone per intero; Passport diventerà il nome della band successivamente.


Il buon Klaus viene da lontano: il suo trio è attivo sulla scena dal 1955 modellato sul lavoro di Oscar Peterson, e dal 1962 in formazione quartetto sperimenterà un po’ di tutto fino ad arrivare alla fondazione del gruppo che sarà il suo progetto di vita.
Sarà la lunga strada fatta da Doldinger, sarà forse una caratteristica di quei primi anni, anni di contaminazioni, ma le influenze che si possono trovare in Passport sono davvero molte e varie: proto-prog (v.Canterbury), con uso pesante di sintetizzatori/effetti sonori e fiati, rimandi sonori a Zappa e al suo Hot Rats (Lemuria’s Dance), passaggi della sezione ritmica alla Deep Purple (Madhouse Jam), alternati a momenti di musica più “gentile”, jazz… addolcito. Se il sax, anzi, i sax sono a tratti prepotenti, l’organo è spaziale e insieme ci portano per strade e viottoli. Siamo in piena sperimentazione e di questo dobbiamo essere consapevoli se qualche brano può far sorridere. Invece, quello che alla lunga si rivela un grosso limite è proprio la scrittura e la mancanza di originalità: Doldinger scrive per sè ottime linee di sassofono (improvvisate e divertenti) ma non altrettanto interessante risulta l’insieme orchestrale, noioso, ripetitivo nella formula, senza picchi; se perdonabile nell’album di debutto, non accettabile nei lavori successivi.


Tra i tanti cambi di formazione rispetto alla line-up storica, i Passport sembrano negli anni prediligere un’aderenza allo status quo, musicalmente parlando, piuttosto che sperimentare nuovi canoni e questo porterà ad una lunga carriera fatta purtroppo di molti album pochi dei quali davvero interessanti come il primo (più Cross-Collateral, il quinto).
Detto ciò, con un certo imbarazzo, devo confessare che quando voglio ascoltare i Passport metto sul piatto “Infinity machine”, capita quando voglio una sferzata di ottimismo e di energia (Curt Cress al suo meglio).

Ascoltateli!

(*) Sì, cronologicamente dovrei forse considerare gli IF, validissimi musicisti certamente, ma come gruppo hanno avuto una vita troppo breve e travagliata per lasciare davvero un segno.

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