Perché Elly alla segreteria PD è una buona notizia


Il successo di Elly Schlein alle primarie del Pd e la sua ascesa alla segreteria del Pd è stato salutato dalla diretta interessata con malcelato entusiasmo. “Saremo un problema per la Meloni”, sono state tra le sue prime parole.

Per noi che da tempo osserviamo il travaglio della “Ditta” (come la chiama Bersani) si tratta di un’ottima notizia. Infatti non è difficile immaginare la scomparsa dei dem dalla scena politica italiana in un tempo piuttosto breve. Abbiamo a lungo evocato la necessità di un’opposizione vera, in grado di fare le pulci come si deve al Governo di centrodestra, proponendo un’alternativa credibile di idee, programmi, strategie, visioni. Ora al timone del principale (?) partito della sinistra c’è un personaggio che, al netto della novità di essere una donna, ben poco ha dello spessore e dell’autorevolezza necessari per impensierire la Giorgia nazionale, la quale ha il solo problema del guardarsi dal fuoco amico di quei pasticcioni dei suoi compagni di cordata.

Il massimalismo ingenuo della Schlein è un’assicurazione sulla vita della stabilità dell’attuale Governo, tanto sono distanti le priorità che la neosegretaria ha segnato nella sua agenda dai problemi e dal sentire del paese reale.

Intestarsi la rappresentanza dei diritti soggettivi come unico, unilaterale e monotono fattore identitario – e del Pd che verrà – significa esporsi ad un prolungamento sine die dell’emorragia di consensi.

La giornata di ieri ci ha consegnato l’ennesimo exploit naif del segretario uscente Enrico Letta che, manco a dirlo, ha estaticamente sottolineato la grande mobilitazione democratica dei gazebo, quasi che questa autocelebrazione, dal sapore onanistico, sia di per sé in grado di distogliere l’attenzione dal vuoto programmatico di un contenitore riformista che ha miseramente fallito il suo mandato. La lezione dolorosa del 25 settembre scorso sembra essere stata rimossa per fare spazio a una nuova stagione di irrilevanza politica.

Pensare, come ha dichiarato la Schlein nei minuti immediatamente successivi alla sua proclamazione, di saper comporre in una convergenza unitaria le minoranze all’opposizione, significa semplicemente esibire una stucchevole incapacità di leggere la realtà. Ma davvero la giovane Elly pensa di poter stabilire qualcosa come un’alleanza con il Terzo polo (sentire Calenda al riguardo) o con i pentastellati?

Abbiamo sino all’ultimo sperato che la spuntasse Bonaccini, uomo nel quale alberga ben altra tigna politica, competenza amministrativa e di governo ma, soprattutto, una ben chiara prospettiva riformista socialdemocratica. Lui avrebbe saputo sicuramente saputo dialogare con ciò che di buono è rimasto del renzismo e si sarebbe incamminato sul terreno di una dialettica pragmatica sui grandi snodi all’ordine del giorno del governo nazionale, smarcandosi da una flessione obsoleta e anarcoide dell’ideologia di sinistra.

Per l’occhialuto governatore dell’Emilia-Romagna si è trattato di prendere atto che nel ventre molle del partitone permane un limaccioso mix di massimalismo fuori tempo e di apparato old style, refrattario ad entrare con decisione e risolutezza nello spirito della post-modernità.

Invece per noi, che osserviamo avidi di un confronto politico che sappia animare un Paese che ha bisogno come l’ossigeno di liberare le proprie migliori risorse per farne prassi di sviluppo e perciò di inclusione vera, l’ascesa di Elly è una buona notizia perché si acceleri una nuova configurazione più convincente dell’offerta politica, ancorata alla realtà invece che alla grossolanità dell’ideologia.

The Squirrel


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