“IL CASO ALEX SCHWAZER”, LA FELICITÀ È IL MIO DOPING


Una persona.

Quante volte (troppe..?) pensiamo di “conoscere” qualcuno per averlo visto, ascoltato, magari incrociato di persona un paio di volte ? E quante volte questo succede con chi si trova a calcare la scena pubblica, com’è la vita politica, lo spettacolo, lo sport…? Nell’era del “so già”, alimentato dallo scorrere delle dita sugli schermi dei nostri smartphone, in pochi secondi inglobiamo senza masticare, e mandiamo giù vite, situazioni, eventi, persone.

E poi..? Cosa ci hanno “dato”, cos’hanno lasciato dentro..? Forse un titolo, un’etichetta – una tag, direbbero i digitali – per definire una qualità su tutte, un’impressione prevalente, una sensazione associata magari ad un indefinibile fastidio o piacere. Tant’è, passa veloce, avanti il prossimo.

Presi dalle millemila distrazioni, incombenze e pensieri che assediano le nostre giornate, non ci prendiamo (meglio, ri-prendiamo) il tempo per guardare meglio. Guardare chi abbiamo davanti.

Quando lo facciamo, quando ci accade d’interrompere la corsa per fermarci, allora capita la sorpresa: un mondo intero, nuovo, ci si spalanca davanti agli occhi, come se la benda che ci copriva gli occhi venisse di colpo strappata via.

È quello che capita guardando “Il caso Alex Schwazer”, docu-Serie in quattro episodi da poco disponibile su Netflix. Al centro proprio lui, Alex Schwazer, qui voce (e volto) narrante dell’incredibile vicenda scaraventata sulle prime pagine di stampa e tv dopo le accuse di doping. Dopo la spettacolare marcia con la quale si guadagnò l’Oro olimpico a Bejing 2012, facendo riscoprire a milioni d’italiani il valore della marcia. Considerato che probabilmente solo i più giovani non abbiano qualche idea in testa associata a questo atleta, onore a Netflix, per la sua produzione documentaristica, di cui questa mini Serie è ottimo esempio.

Alex Schwazer, quindi, davanti alla telecamera, a dire di sé, a dire senza mezzi termini l’abisso del proprio essere e del proprio male, mostrandoci la parte più scomoda della vita: quando sbagliamo. Quando scegliamo il male, sapendo che è male. Nel suo percorso umano e sportivo Alex ha esplorato la “distanza”. Ha spinto le gambe, il fisico e il cuore un passo più in là, nella famigliarità con la fatica, nella solitudine che si scopre quando ci si mette davvero in ascolto di sé stessi.

«Il cuore della marcia è l’allenamento», dice ad un certo punto Alex nella sua autobiografia “Dopo il traguardo”, uscita nel novembre 2021, che percorre lo stesso tracciato della Serie con in più alcuni passaggi di rara intensità e chiarezza. A seguire la sua avventura – che tra 2021 e 2022 ha finalmente sancito un punto fermo sulle colpe (infinitamente più colpevoli e criminali) delle organizzazioni sportive che l’hanno massacrato senza pietà quando lui si era dopato – emerge con forza la dedizione con la quale Alex Schwazer ha risposto alla sua chiamata alla marcia. Allenamento dopo allenamento, giorno dopo giorno, passo dopo passo. «Facevo fatica e mi sentivo bene», spiega, dove si capisce benissimo che nel suo “fare fatica” c’è il significato di una persona che si mette alla prova. Sempre interrogandosi, senza mai smettere di mettersi in discussione, uno che “non imbroglia” con la verità della propria ricerca. Anche quando in lacrime confessa al mondo il suo peccato.

Messo alla gogna mediatica, accusato dalla giustizia sportiva e da quella italiana, Alex ha combattuto una battaglia impari, clamorosamente sproporzionata, contro forze che nell’ombra hanno tramato per schiacciare questo corpo estraneo alla loro gestione del Potere. La sua tenacia permette oggi di portare un po’ di luce tra queste tenebre.

Nei passaggi lungo i quali si snoda la narrazione – con toni a tratti da vero thriller di spionaggio (per la portata dei fatti stessi) – un elemento colpisce più di tutti, commuove. È il desiderio di Alex di farsi guidare, di trovare un “maestro”. Fa sorridere, perciò, quel suo chiamare “prof” Sandro Donati, il suo secondo padre che l’ha accompagnato in ogni passo della sua avventura di rinascita.

«A forza di essere valutato per la tua prestazione – annota nell’autobiografia – a poco a poco ti convinci che se andrai forte allora tutto il resto andrà bene. Mentre invece dopo una controprestazione pensi che la tua vita sia un disastro. Ma non è così, per fortuna».

Alex Schwazer, un uomo.

The Bear


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